Il modo di lavorare in Italia è cambiato radicalmente il 23 febbraio 2020 quando un decreto legge, stabilito per contrastare la diffusione del Covid-19, indicava alle aziende la via del lavoro agile. In una manciata di giorni le imprese italiane hanno dovuto rivoluzionare procedure, fornire i propri collaboratori di attrezzature tecnologiche e implementare i sistemi operativi per permettere il lavoro a distanza: una vera e propria rivoluzione digitale.
Le grandi aziende negli scorsi anni si erano già orientate verso lo smart working, riconoscendo il risparmio di costi e l’aumento di produttività. Ma l’emergenza Coronavirus ha di fatto avviato un processo di innovazione collettivo che altrimenti avrebbe impiegato anni ad instradarsi.
Smart working e telelavoro, però, non sono la stessa cosa. Affermare che in Italia si sia diffuso in modo massivo lo smart working non è corretto. Spesso si utilizza impropriamente il termine per indicare invece quello che a tutti gli effetti è lavoro da remoto.
Che differenza c’è tra smart working e lavoro da remoto?
Usare il termine ‘smart working’ per identificare il lavoro da casa ricorrendo a strumenti informatici è sbagliato. E’ un pseudoanglicismo perché in realtà in inglese è il ‘remote working’ o ‘home working’ o ‘telecommuting’. In italiano si usa il termine ‘telelavoro’ e cioè la connessione di personal computer a service aziendali da altrove per via telematica.
Per quanto le due tipologie di lavoro siano entrambe possibili grazie all’utilizzo di strumenti informatici, ci sono profonde differenze non solo a livello teorico e pratico ma anche contrattuale. Smart working e lavoro da remoto sono due modalità di lavoro concettualmente diverse, anzi, l’uno deriva dall’altro. Lo smart working è infatti una evoluzione del telelavoro (lavoro da remoto).
Che cosa è il lavoro da remoto o telelavoro?
E’ il lavoro che si svolge a distanza rispetto alla sede centrale dell’azienda. Questa tipologia di impiego è nata negli anni ‘70 negli Stati Uniti con lo sviluppo delle tecnologie informatiche. E’ il dipendente che lavora da casa (home working), ad esempio, collegandosi all’azienda utilizzando strumenti di comunicazione informatici o telematici. Le stesse responsabilità che si hanno sul posto di lavoro vengono traslate nell’abitazione del collaboratore. Gli obiettivi da raggiungere sono gli stessi che in azienda come anche gli orari di lavoro. Ciò che cambia è la possibilità di lavorare da remoto, ma orario di inizio, pause e il termine della giornata viene deciso dal datore di lavoro e non è modificabile.
Che cosa è lo smart working?
Come nel lavoro da remoto, chi fa smart working svolge la propria mansione lontano dalla sede centrale. Il collaboratore decide autonomamente orari e luogo di lavoro e non deve necessariamente comunicare una postazione fissa. Lo smart working è il lavoro flessibile per eccellenza e la mobilità ne è un elemento fondamentale. La mansione può essere svolta in ogni luogo che sia casa, bar, hotel. È il lavoratore a decidere dove e quando, ciò che conta è la performance. C’è quindi un rapporto di fiducia totale tra l’azienda e il collaboratore. Il lavoratore è portato a responsabilizzarsi e rispettare consegne ed obiettivi godendo della piena autonomia. L’azienda dà più responsabilità e fiducia ai lavoratori nel determinare come, dove, quando e con quali mezzi svolge la propria mansione per cui viene pagato. I lavoratori vengono quindi valutati per i loro risultati e non per altri tradizionali parametri.
I numeri del lavoro agile in Italia
Il 90 % delle grandi imprese (quelle che hanno più di 250 addetti) e il 73.5 % delle imprese di medie dimensioni (50-249 addetti) hanno introdotto o aumentato lo smart working durante l’emergenza Covid; Anche le imprese minori si sono adeguate e ben il 37.2% delle piccole aziende (10-49 addetti) e il 18.3% delle microimprese (3-90 addetti) hanno optato per il lavoro da remoto. Sono dati che emergono da un rapporto Istat pubblicato a giugno 2020. Prima dello scoppio dell’emergenza Coronavirus in Italia “solo l’1.2 % del personale delle aziende italiane – si legge nel report – era impiegato in lavoro a distanza. Tra marzo e aprile questa quota sale improvvisamente all’8.8%”.
“Tali risultati – continua l’analisi – suggeriscono che grazie all’implementazione di soluzioni informatiche e organizzative una fetta di imprese italiane è riuscita nel giro di poche settimane a estendere forme lavorative in precedenza limitate a una piccola minoranza a quote considerevoli di personale”.